I  Gruppi Famiglia Carmelitani

 

NON SIAMO UN MOVIMENTO - SIAMO FAMIGLIA

 

La famiglia è sempre più al centro dell'attenzione della Chiesa soprattutto in questi ultimi decenni.

Il Carmelo non poteva essere assente con il proprio carisma in questa parte integrante della società e della Comunità cristiana. In una pastorale d'insieme la Famiglia Carmelitana Teresiana, superando tanti ostacoli e mettendosi in sintonia con la pastorale della Chiesa Universale, sta cercando di proporre la spiritualità del Carmelo alla Famiglia in quanto tale a partire dalla coppia.

I Gruppi Famiglia sono pertanto l'espressione laicale del Carmelo Teresiano come lo è l'Ordine secolare, integrati a pieno titolo nelle nostre Comunità, nella Provincia e nell'Ordine.

 

COSA VOGLIAMO

Desideriamo vivere lo Spirito del Carmelo rimanendo nel mondo e assolvendo al nostro dovere di coniugi e di genitori.

Per questo chiediamo che ci venga insegnato il cammino dell'orazione come lo hanno sperimentato e insegnato i nostri santi fondatori i quali durante la loro vita hanno avuto contatti con laici e coniugati. Rimanendo nel mondo desideriamo santificare le realtà terrene cercando in tutto la dimensione spirituale, ed essere per altre famiglie sostegno morale e spirituale.

 

COME LO REALIZZIAMO

Crediamo che sia determinante una esperienza forte dl relazione con il proprio coniuge e con il Signore per poter avviare un modo nuovo di vivere il Sacramento del matrimonio e il dialogo della preghiera. Il Fine-Settimana vissuto in un clima di riflessione e di fraternità diventa un punto di riferimento. Un metodo di dialogo semplice ci mette in contatto con noi stessi, con l'altro e con il Signore. Sarà questo strumento che ci accompagnerà nei vari incontri e ci aiuterà ad affrontare i vari temi di formazione umana e spirituale. In questo cammino indispensabili sono il ruolo del Sacerdote e della coppia responsabile che con lui preparerà volta per volta l'argomento da approfondire.

                      Il cammino di fede di una coppia carmelitana

Il punto di partenza

"Tutti i fedeli di qualsiasi stato e grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità" ( Lumen Gentium). " Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt. 5, 48) ...

Giov. Paolo  II :" Nelle parole di Cristo non c'è alcun cenno circa l'inferiorità del matrimonio ...esse non forniscono motivo per sostenere l'inferiorità del matrimonio, né la superiorità della verginità o celibato..."

 

Tre note caratterizzano la santità coniugale:

1)La laicità: capacità e compito di santificarsi nel mondo e nel santificare le realtà terrene.

2)La coniugalità: la decisione di non vivere e di non essere più soli, e nemmeno più soltanto due persone che vivono in società, ma essere" una coppia", una entità nuova e originale:"due in una sola carne". 

3)La paternità e la maternità: l'amore vissuto dai due coniugi li porterà all'apertura alla vita e a generare una nuova vita.

 

Tre mezzi specifici per la spiritualità degli sposi cristiani

1)La relazione. E' l'insieme di tutte quelle attenzioni che fa di due persone un cuor solo ed un' anima sola. C'è tutta una scuola per arrivare alla perfetta relazione. Punti importanti: l'ascolto, il dialogo, le decisioni prese insieme, la capacità di riconciliazione. 

2)La sessualità come relazione. Gestire con amore la propria specifica sessualità, riconoscendo e valorizzando le diversità non solo fisiche, ma anche psicologiche. E' uno strumento della spiritualità coniugale importantissimo e comporta una scuola di vittoria sull' egoismo e un'educazione al vero amore. 

3)La preghiera coniugale.  E' diversa da forme di orazione di altre vocazioni. E' una preghiera che finisce per rafforzare la relazione sponsale. Il linguaggio del corpo è importante: la vicinanza, il tenersi per mano, il guardarsi, il sentire la voce, un gesto di tenerezza fanno entrare Dio nel concreto della nostra vita. 

 

Coppia carmelitana

Una coppia cristiana è chiamata a realizzare la propria vocazione dentro dei cammini ispirati dallo Spirito Santo alla sua Chiesa. Nascono così le varie Spiritualità delle grandi famiglie religiose. Il Carmelo Teresiano fin dalle sue origini ha creato attorno a sé uno stuolo di laici che si sono dissetati alla sua dottrina. Tre componenti distinguono l'appartenenza alla Famiglia del Carmelo: 

1)La Marianità. Maria è la Madre del Carmelo. Di Ella porta il nome e l'abito. Ogni Carmelitano è tale nella misura del suo legame filiale a Maria e del suo amore all'abito. E' cura di una coppia carmelitana consacrare la propria famiglia alla Vergine del Carmelo, onorarne la memoria, prepararne le feste e diffonderne la devozione. La consacrazione di tutta la famiglia alla Madonna del Carmelo può diventare l'entrata ufficiale nella famiglia del Carmelo. 

2)L'interiorità. Il Carmelo nella Chiesa si distingue per il culto della vita interiore e l'aspetto contemplativo della preghiera. La coppia carmelitana oltre alla preghiera liturgica con la recita di qualche ora, avrà un'attenzione particolare alla pratica dell'orazione Teresiana che consiste nel dedicare alcuni momenti della giornata alla meditazione della Parola di Dio consumata in un dialogo filiale ed amichevole con Dio. 

3)L'apostolicità. La coppia carmelitana vive nella Chiesa e nel mondo e quindi la sua crescita è relazionata a queste due grandi realtà. Nella Chiesa si sente parte integrante e ne vive le gioie e le angosce. Nel mondo è chiamata a santificarne le realtà terrene. Il primo campo di apostolato di una coppia carmelitana è quello di testimoniare ad un'altra coppia la santità del proprio Sacramento e sostenerla nel cammino di coppia. Nella società diventa testimonianza di una scelta prioritaria dei valori umani e cristiani tradotti in una semplicità evangelica e in una solidarietà con gli umili e i poveri. 

 

 

Abbiamo bisogno di Santi e di grandi Santi!

 

                            

 Lelia e Ulisse: storia di "ordinaria santità" di una coppia carmelitana

 

Il 18 Giugno 2004 si è aperta la causa di beatificazione di Lelia Cossidente (Potenza, 4 maggio 1893 - Roma, 3 luglio 1951) e di Ulisse Amendolagine (Salerno, 14 maggio 1893 - Roma, 30 maggio 1969), una coppia di sposi cristiani che visse a Roma nel secolo appena trascorso. Una vita, la loro, vissuta dentro una  quotidianità in cui divino ed umano sono strettamente intrecciati: attraverso i volti di coloro che abitavano la loro stessa casa, i gesti semplici di ogni giorno sono diventati, per questi coniugi, occasioni di contemplazione e di incontro con il volto del Dio incarnato.

Dalle loro lettere emerge con evidenza la profonda influenza esercitata su di loro dalla spiritualità carmelitana. La famiglia Amendolagine è nata e "cresciuta" all'ombra del Carmelo: lo stesso Ulisse entrerà a far parte dell'Ordine Secolare Carmelitano, prendendo il nome di Fra Giovanni della Croce, e Lelia della Confraternita del Santo Scapolare della Madonna del Carmine. Entrambi nutrirono una particolare devozione  nei confronti di Santa Teresa di Gesù Bambino, della quale Lelia ammirava la pazienza, sforzandosi, per quanto le era possibile, d’imitarla. Anche i genitori della Santa, i coniugi Martin, furono presi a modello da Lelia ed Ulisse: come loro, in passato, avevano desiderato consacrarsi entrambi al Signore, come loro desideravano per i propri figli la santità, e come loro manifestarono un autentico spirito missionario. Tutta la famiglia, infatti, seguiva, con particolare coinvolgimento interiore, le vicende di Padre Gioacchino, partito missionario per la Cina, con il quale aveva un rapporto di profonda amicizia e per il quale pregava... era da loro considerato il “nostro missionario”.

In casa Amendolagine la vita si svolgeva sotto lo sguardo amoroso della Vergine, quotidianamente invocata, perché “copra col suo manto” genitori e figli. Devozione profondamente radicata che si esprimeva soprattutto attraverso la preghiera e la sequela alla scuola di Maria.

 

La famiglia: santuario dell’amore e della vita

In casa Amendolagine Dio occupava il primo posto. Lelia ed Ulisse vivevano la loro giornata in un continuo riferimento a Lui, senza grandi meditazioni né prolungati raccoglimenti bensì con piccoli e ripetuti atti di adorazione strappati alle loro mille occupazioni:      «Pare che noi dobbiamo guadagnarci il Paradiso attraverso le cose di questo mondo. Quando però la sera vado a letto, - dirà Ulisse - mi rammarico di non potere, per necessità di natura, recarmi in Chiesa».

Aperti con l’amore alla vita essi diventarono genitori di cinque figli. Lelia sfruttò le proprie eccezionali capacità  di educatrice per aiutarli a crescere, curando intensamente la loro formazione umana e cristiana. Spesso, nel recarsi a far spesa, ella approfittava per far visita a Gesù Sacramentato; Ulisse, dal canto suo, coglieva occasione dalle famose passeggiate con i figli per istruirli sulle cose di Dio. E così, attraverso l’esempio personale e la preghiera comune, Lelia e Ulisse formarono i propri figli all’intimo colloquio con Dio: «In Chiesa mamma e papà pregavano con tanto fervore che eravamo spinti a fare altrettanto. L’esempio operava più di qualsiasi discorso. Il passare davanti a una chiesa ed entrarvi era per la nostra famiglia la cosa più naturale». «Allora si usava stare molto in ginocchio - ricorda il figlio carmelitano - e mamma mi insegnava il raccoglimento, mi diceva di non guardare in giro e mi faceva coprire gli occhi con le mani. Come mi parlava del ringraziamento alla Santa Comunione!». In casa Amendolagine era vivo il senso della comunità in una comunione cercata, costruita, vissuta e difesa. L’amore non si concretizzava solo nel quotidiano, nello scorrere del tempo: ogni membro della famiglia diventava «luogo» dell’incarnazione dell’amore, un amore che accoglieva e si faceva uno con l’altro, che si insinuava nelle pieghe più nascoste dell’altro colmandone mancanze e limiti. Ognuno “completava” l’altro in un arricchimento reciproco: insieme erano «Chiesa domestica». Pur avendo caratteri diversi Lelia ed Ulisse sembravano fusi in un unico essere: la comune fede in Dio aveva cementato le loro anime.

Nonostante la guerra, l’occupazione tedesca, il licenziamento e il nascondimento di Ulisse, la fuga di tutta la famiglia in un paesino d’Abruzzo, i bombardamenti di Roma, la carenza di tutto, non mancò loro un'enorme fiducia nella Divina Provvidenza: «Dio vede e provvede». Anche l’onestà li vide perfettamente d’accordo. Ulisse, che svolgeva il proprio lavoro al Ministero dell’Interno, non cedette mai alla tentazione di accettare doni che venissero dal proprio lavoro in ufficio.

In questa atmosfera tutta spirituale non poterono mancare vocazioni. Due figli raggiungeranno il sacerdozio: Giuseppe (Padre Raffaele Carmelitano Scalzo) e Roberto (sacerdote della Diocesi di Roma). In questo distacco, pur riconoscendo la grandezza del compito al quale i loro figli erano chiamati, Lelia e Ulisse sperimentarono la potenza dell’amore sacrificale. Il loro dolore sarà un dolore-offerta ma anche un dolore-preghiera, perchè l’offerta potesse divenire totale. Lelia, che aveva più volte fatta sua l’espressione della mamma di San Giovanni Bosco: «la grazia più grande che Dio possa concedere a una famiglia è di avere un figlio sacerdote», dirà: «Non sono degna di vederti sacerdote!» e «Dio solo sa a chi sia più adatto il sacerdozio o lo stato laicale, e bisogna lasciar fare a Lui». Ulisse scriverà: «Nel rito dell’Ordinazione sarà come se io stesso mi prostrassi a terra... e come se fossi concelebrante con te» e «beato te che diventi sacerdote!». Nell’unità affettiva e spirituale dei genitori i figli trovarono il clima ottimale per la loro crescita. L’amore dei genitori non li soffocava ma donava loro respiro, diventava per loro «sorgente di vita». Chiamati a cooperare con Dio nella “generazione spirituale” dei loro figli, questi sposi vissero la loro vocazione di genitori nella consapevolezza della sublime missione cui erano chiamati. Erano soliti ricordare che «i figli non li abbiamo fatti per noi, ma per Dio... a Dio bisogna condurli»: i figli sono un dono di Dio da custodire, aiutandoli a crescere nella scoperta della loro vocazione e a leggere ogni avvenimento alla luce della fede. E i figli ce ne danno testimonianza: «I genitori sono stati gli strumenti di Dio perché scoprissimo e seguissimo la sua Volontà. Tutto è avvenuto con la delicatezza di Dio esternata nell’educazione che ricevevamo».

L’amore “umano” dei due sposi si trasformò, giorno dopo giorno, in amore “soprannaturale” attraverso la partecipazione assidua al Banchetto Eucaristico. Ulisse, in una lettera al figlio Giuseppe in seminario, scriverà: «Guardando Gesù mi sembra di vedere te in Gesù e così pure tu quando fai orazione davanti al Tabernacolo pensa di vedere in Gesù Sacramentato me e tutti noi in unione con te. Così parlandoci in Gesù e attraverso Gesù non saremo più lontani, saremo vicinissimi e la nostra vicinanza non sarà semplicemente immaginaria, ma sarà reale, vera, palpitante, viva.  Evidentemente il Signore ci ha fatto allontanare, perché noi potessimo essere più vicini a Lui, attraverso di Lui e con Lui».

Lelia morì, per un tumore al mesentere, il 3 luglio 1951, dopo quasi due anni di atroci sofferenze. Anche in questa occasione questi due sposi, riconoscendo che“tutto è grazia”, resero concreta e visibile ai figli la presenza di Dio: «Stamattina ho ricevuto Gesù e l’ho ringraziato per tutto quello che mi ha concesso in questa malattia; l’ho ringraziato per me e per voi tutti che tanto avete pregato». Le ultime parole che Lelia ripeteva continuamente erano quelle dell’Ave Maria: «Adesso e nell’ora della nostra morte»Nel 1955 Ulisse, mentre lavorava nel suo ufficio, fu colpito da paresi. Dopo una parziale ripresa il 30 maggio 1969 morì, concludendo un'esistenza trascorsa interamente "rassegnato" alla Volontà di Dio: alla lontananza dai figli, alla malattia della moglie, alla solitudine. Mai una parola di ribellione, semmai si rimproverava i suoi limiti, le sue incapacità, le sue miserie e invocava continuamente l’aiuto divino: «Rialzarsi, risorgere per comando di Dio. L’umiliazione dell’anima cristiana nella rinunzia, sofferenza, morte, non si comprenderebbe se non fosse seguita dalla gloria della Resurrezione». Ripeteva spesso: «Tutto si muove, nulla sta fermo, nulla è definitivo in questo mondo. Dopo la morte ci sarà il Paradiso, ove la gioia sarà completa». Sulla lapide della tomba dove riposano, Ulisse fece scrivere «RISORGEREMO!». E’ un invito a vivere la vita coniugale alla luce della Pasqua... è un andare verso la pasqua eterna, verso le nozze eterne. I figli scriveranno: «Tutto concorreva a farci pensare alla vita eterna... Mamma e papà la desideravano per loro stessi, per noi, e per tutta la parentela».

 

Lelia e Ulisse ci additano un percorso di santità accessibile a tutti, ci spingono a guardare in alto, ci dimostrano che è possibile servire il Signore dentro una famiglia, in un luogo di lavoro, tra la gente e gli impegni sociali. Ci parlano di una "liturgia" del quotidiano che permette alle azioni più ordinarie di acquistare una valenza e un significato soprannaturali; ci parlano di un "ministero" degli sposi chiamati a trasformare la stessa propria esistenza in “liturgia” mediante il fedele, incondizionato e vicendevole dono di sé, per aprirsi poi nel servizio al prossimo; ci parlano della missione evangelizzatrice del loro stesso vissuto di coppia attraverso il quale gli sposi cristiani promanano, diffondono e testimoniano l'amore di Dio.

Vogliamo fare nostro l’augurio dello stesso Ulisse: «E adesso il Signore manderà qualche altro gran santo per una forma di apostolato adatta ai nostri tempi? Già ha mandato Santa Teresa del Bambino Gesù. Bisogna pregare perché completi questo dono. Il mondo ne ha bisogno. Abbiamo bisogno di Santi e di grandi Santi! Pregate!».

 

                                                             Dalla rivista:   TESTIMONIANZE

 

 

 

"Questo mistero è grande!"

Don Renzo Bonetti: Catechesi per gli sposi

 

 


           

 

 

 

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