"Nel Cuore della Chiesa"

 N. 4/2003

 

Editoriale

Lo scandalo della Povertà

 

È lo scandalo della fame, dei senza-casa, dei senza-lavoro, degli ammalati non curati, degli analfabeti, degli emigrati sfruttati, degli emigrati rispediti nel loro paese, dei bambini di strada, dei bambini-soldato, delle persone private in ogni modo della loro dignità, uomini e donne, bambini e adolescenti, dei tossicodipendenti, ecc. La povertà infatti, antiche e moderne, materiali, psichiche e spirituali, sono innumerevoli e toccano per un motivo o per un altro ogni uomo. Ma troppo spesso accade che non ci si scandalizzi, non ci si indigni di fronte a tante evidenti ingiustizie e si stia tranquillamente dalla parte del ricco e del forte. Come può accadere che non si vogliano riconoscere le proprie povertà, perché ci si crede ricchi e sicuri, giusti e irreprensibili, e invece “il Testimone fedele e verace” a Giovanni dice di scrivere: “Non sai di essere un infelice,  un miserabile, un povero cieco e nudo” (Apoc. 3, 17). Delle povertà che tanti, troppi, subiscono bisogna scandalizzarsi e delle proprie “false ricchezze” bisogna preoccuparsi. Ma lo scandalo della povertà di cui si intende condividere qualche riflessione in questo nostro numero della rivista è un altro; è lo scandalo che un cristiano non dovrebbe patire. È lo scandalo della povertà di Dio e della povertà nello spirito proclamata nel Vangelo. Dio facendosi veramente uomo si è fatto totalmente povero. Il Figlio infatti, pur essendo Dio, si è incarnato, è nato da Maria, in tutto vero uomo, eccetto che nel peccato, e mai ha voluto usare la sua divinità per sfuggire il destino dell’essere umano. “Non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil. 2, 5-8). “Fino alla feccia” dovette sorbire il calice della povertà umana, fino alla morte e alla morte di croce. È per questa povertà innocente che il Figlio fatto uomo, rimasto fedele a questa sua umanità, e avendo così “amato i suoi sino alla fine”, è stato esaltato, “è il Signore”, il Salvatore di ogni uomo, ma il Salvatore di ogni uomo che riconosce la propria “povertà di uomo” e come tale “attende alla propria salvezza con timore e tremore” (ib. 2, 12), cioè senza presunzione di sé e del tutto affidato a un Altro, perché da povero intuisce il mistero salvifico della povertà di questo Dio. Ma spesso si vive la propria povertà fuggendola, rifiutandola, coprendola con vesti e gioielli falsi, sbagliando e peccando; si continua a restare affascinati dall’antica tentazione “sarete come Dio”; non ci si vuole arrendere al Creatore e Padre che dona un Salvatore e ci si avventura per vie proprie, vie alienanti, le vie “che fanno tutti”. E poi ci si scandalizza per “il povero Cristo”, per “il figlio di Maria, il carpentiere di Nazareth”, il “crocifisso”: No, non può essere lui il vero Cristo, lui, che “non può salvare neanche se stesso” cosa potrà fare per aggiustare questo mondo?  Gli stessi discepoli, i suoi amici, si scandalizzano di questo Cristo. “Tutti vi scandalizzerete di me” (Mt 26, 21), e fuggono, qualcuno lo tradisce, qualche altro lo rinnega. C’è però un discepolo, “quello che Egli amava”, che non si scandalizza, continua a fidarsi, resta, sta sotto la Croce, e così riceve in dono la Madre, ascolta le preziose parole del Crocifisso, raccoglie il suo ultimo respiro, ne vede il cuore squarciato e crede. Poi vedrà il sepolcro vuoto e ancora crederà. Un vero discepolo di Cristo, proprio perché si sente amato, sa credere alla salvezza come grazia che sgorga dal cuore trafitto del Crocifisso, il “Figlio del Padre” ridotto alla povertà più estrema. “Nostro Signore – scrive S. Giovanni della Croce – compì l’opera più meravigliosa di quante ne avesse compiute in cielo e in terra, …l’opera di aver riconciliato e unito a Dio, per grazia, il genere umano, nel momento in cui raggiunse il massimo del suo annichilimento in ogni campo” (S 2, 7, 11). La fiducia perseverante nel Cristo, povero così, allargherà nel discepolo lo spazio vitale per la maturazione della sua “povertà nello Spirito”, e in forza di essa acquisterà libertà interiore, imparerà ad amare, a ringraziare, ad accogliere, ad essere contento di poco, a gustare la vita semplice, a condividere con i più poveri, a lasciare per andare dovunque perché dovunque non potrà mancargli la vera ricchezza che conta: l’amore del suo Signore. Abiterà fin d’ora il Regno di Dio, godendone la beatitudine.