"Nel Cuore della Chiesa"

N. 3/2009

 Editoriale

 Il volto dell'amore  

RIVISTA N. 3/2009 (PDF)      

 

Se per i primi discepoli del Vangelo l'incontro con Gesù di Nazareth, diverrà l'incontro con il Cristo, colui che, a partire dall'apostolo Pietro, viene riconosciuto e proclamato «Figlio del Dio Vivente» (Mt 16,16), per i cristiani delle generazioni successive, quella fede, ricevuta nel credo battesimale, avrà sempre bisogno di ritrovare il suo radicamento nella vicenda terrena del figlio di Maria e di Giuseppe, morto e risorto.

Ciò non può prodursi con artificio psicologico, immaginando una presunta contemporaneità con Cristo, attraverso un cammino a ritroso nel tempo, ma si dà come grazia, non senza inciampi, dentro un cammino di ricerca e di contemplazione del volto di Dio.

Così ci ricorda ed insegna Teresa di Gesù. Anche per lei, la fede in Cristo ha corso inconsapevolmente, per un certo tempo, il pericolo di una deriva spiritualista, come lei stessa confessa, scrivendo con toni appassionati quel celebre capitolo 22 della Vida, in difesa della «Umanità di Cristo».

Nel rischio di una fede siffatta, era incappata, deviata dall'insegnamento di autori spirituali, che «raccomandano insistentemente di tenersi lontani da ogni immagine corporea per affissarsi unicamente nella divinità» (V 22,1). Scriverà: «Oh che falsa strada avevo preso, Signore! Anzi, ero del tutto fuori strada! Ma Voi avete raddrizzato i miei passi, e dacché vi vedo a me vicino, vedo pure ogni bene» (V 22,6). È ancora una volta la sua esperienza "straordinaria" a riportarla alla verità, un'esperienza senza la quale non avrebbe compreso l'inganno.

Estasi e rapimenti le fanno comprendere ciò che neppure la grazia dell'orazione di quiete e di unione le avevano concesso (cfr. V 22,2-4): il Dio che si mostra a Teresa al vivo ha mani (V 28,1), bocca (V 29,1), un volto di bellezza che rapisce (V 28,1).

Questo volto è essenziale per una vita di fede intesa come relazione amorosa con Dio, relazione fatta di una vicinanza della quale lo stesso Gesù non ha mai voluto privare i suoi «neppure di poco» (V 22,6) sapendo bene lui quanto per noi che «non siamo angeli, ma abbiamo un corpo» sia necessario averlo sempre vicino «uomo come noi, soggetto alle medesime debolezze e sofferenze» (V 22,10).

«Che cosa possiamo bramare di più quando abbiamo un amico così affezionato che nel tempo della tribolazione e della sventura non fa come gli amici del mondo che si dileguano? Beata l'anima che lo ama per davvero e lo ha sempre con sé» (V22,7).

Non è sul versante della disputa teologica che Teresa si pone, la sua è la rivendicazione dell'amore che accampa il diritto ad amare.

Per Teresa, il Dio che si rivela in Gesù è anzitutto e fondamentalmente "da amare", la sostanza della fede e della rivelazione è «Dio è Amore». Privare la preghiera di questo, spostare il centro della riflessione di fede su altro, è «errore» (V 22,4) e «inganno» (V 22,2).

Nel Castello Interiore scriverà sulla preghiera: «Non è questione di molto pensare ma di molto amare» (1M 1,7) affermazione che, alla luce di quanto detto, dovrebbe risultare ancora più incisiva e chiara.

 

di padre Renato Dall'Acqua