"Nel Cuore della Chiesa"

N. 4/2008

 Editoriale

 Quella parabola chiamata vita  

RIVISTA N. 4/2008 (PDF)      

 

Sulla sponda di quell'ultimo approdo che chiamiamo "morte" si conclude il percorso annuale della nostra Rivista: generare - educare - scegliere - morire, sono stati i temi dei quattro capitoli che hanno provato a descrivere quella parabola che chiamiamo "vita".

Abbiamo avvertito l'esigenza di ancorare la nostra riflessione a parole come dono e mistero, le più adeguate a interpretare l' avventura dell'umana esistenza, senza ridurla alla nostra misura, parole sempre capaci di sospingere "oltre" e di suggerire una origine buona, un percorso di senso.

Oggi, tutti un po' risucchiati nel vorticoso giro di affari del mondo e, proprio per questo, più indifesi di fronte a ciò che attiene al destino, sentiamo calare anche intorno alla morte quello che Jean Guitton chiamava «silenzio sull'essenziale». Demitizzata, desacralizzata, piegata alla logiche del diritto all'autodeterminazione dell'individuo, consegnata alle campagne mediatiche, creatrici di consenso nell'era della omologazione, la morte sembra dover rinunciare al suo ruolo di musa per pensatori ed artisti delle generazioni a venire. Dovremo davvero essere sepolti dalla chiacchiera, confusa e irriverente, che non sa indossare il velo pietoso, che alle parole è dato solo di sollevare e allo sguardo solo di sfiorare? Dovremo rinunciare per sempre alla poesia del Poverello che cantava «Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,»? Dovremo rinunciare alla sfida profetica di san Paolo che annunciava con Osea: «Dov'è, o morte, la tua vittoria?»(l Cor 15,55 e Os 13,14).

Di certo saremmo condannati per sempre a questo "silenzio" e a una nuova proibizione del lutto (cfr.Ez 24,16) se l'ineffabile e l'inaudito non continuassero ad irrompere nell'orizzonte dell'umana esperienza nella forma del miracolo, della santità: campo sterminato per un pensiero che ami "in-oltrarsi", attratto dal mistero, sua vocazione, e risorsa per sempre nuove parole, anche solo balbettate, come insegnano i mistici alla cui scuola siamo cresciuti.

È su questo terreno che si muove anche il presente numero della Rivista, in un percorso che si snoda attraverso narrazioni di vite trafitte dalla spada dal lutto, ma vissute in pienezza, nel dono di sé; narrazioni di vite salvate, di vite ritrovate.

Dentro questa cornice trova posto anche un personaggio della letteratura: il «vagabondo» Andreas, de La leggenda del santo bevitore, di Joseph Roth.

Nella vicenda del protagonista del racconto, portato sul grande schermo da Ermanno Olmi, assistiamo al miracolo di una «morte lieve e bella» toccata ad un uomo, vissuto ai margini della propria esistenza, divenuto «generosamente disponibile a tutto ciò che incontra» e che, attraverso una serie di circostanze, apparentemente fortuite, è visitato dalla Grazia.

Per lui l'appuntamento con la morte non sarà un tragico destino ma tempo dell'ultima, definitiva consegna in cui si consuma la vita, «fedele a un unico e apparentemente inutile voto».

«Conceda Dio a tutti noi»... un anno di Grazia.

di padre Renato Dall'Acqua