"Nel Cuore della Chiesa"

 N. 3/2006

            

Editoriale

L'ospitalità dell'ascolto

 

 

E' nel segno dell‘ accoglienza che vorremo parlar di ascolto. Ascoltare senza accogliere la parola è rimanere sordi. Ma non dobbiamo andare di fretta. L’ascolto inizia con una sosta, una frattura nel moto meccanico del tempo, nel moto perpetuo, senza intelligenza, del nostro andare. Ma dove?
Inizia con uno stare lì ed accorgersi di una presenza, dì chi sta fuori e bussa, chiede l'ospitalità dell’ascolto, il diritto di esistere, diritto che gli possiamo anche negare.
Occorre una sosta d’ascolto per un cambio di tempo, per lasciarci sbaragliare dal tempo dell’altro che è tempo da “perdere’ per lasciarci invadere ed espropriare dal suo mondo, disposti a smarrirci, sbalzati fuori nel suo orizzonte, nella sua situazione, eppure orientati dal suo volto.
L’altro che sta alla porta e bussa, l’altro che chiede di aprire, di entrare e uscire, ci espone al nuovo, a un’incognita, ci sottrae al previsto; previsto come le risposte con cui crediamo di poter capire e spiegare e chiuderla lì.
Perché prima vogliamo capire, chiaro e distinto; ma, di fronte all’altro, prima che il capire c ‘è il suo diritto ad esistere, a essere lì, presente e imprevisto. Come un figlio inatteso, che prima va accolto, come il dolore scomodo, che va compatito: al modo di Dio quando dice «lo sono con te». Anche l’ascolto si colloca lì, nel mistero della comunione, è quello il suo mondo, il suo orizzonte; orizzonte entro cui tutto è compreso.
Comprendere è cogliere nell‘ insieme, percepire l’intero, il senso delle parole oltre la lettera, capire dentro una esistenza vissuta.
Le parole che esprimono una vita, un mondo, non possono essere intese smembrate da quella vita, fuori da quel mondo, dalla totalità di un ‘esistenza personale con i suoi colori, con le sue ferite. «Amare e ascoltare dentro» scriveva Etty Hillesum dal lager nazista.
Capisce chi comprende, e «tende l’orecchio» (Pr 2,2), attento a cogliere gli echi delle parole, il residuo di non detto, ciò che la parola non può e non riesce a dire, fino in fondo, della vita. Ascolto è immersione e distanza nella vita dell’altro, uno stargli di fronte, è coscienza di uno scarto tra ciò che capiamo e il mistero dell’altro, quel “di più“ che è la vita di ognuno. Fattosi attento, l’ascolto sa farsi accogliente-obbediente.
Obbediente: capace del “sì“ all‘ esistenza dell’altro, che ha la precedenza sull’io; accogliente: che sa fare spazio a ciò che è più grande della nostra misura.
Ascoltare è stare dalla parte di “ogni altro“, di quell‘ Altro, Cristo, che per farsi ascoltare, per «abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14) è stato disposto ad attraversare la vita e a incontrare la morte; il suo «grido» (Lc 23,44) di morte, ha misteriosamente saturato il tempo, ed è destinato a udirsi per sempre, come grido di tutti gli uomini, in cui Cristo è «in agonia fino alla fine del mondo» (Pascal). Saperlo ascoltare, è il segno che il Cielo ha trovato dimora finalmente anche in noi.

P. Renato Dall'Acqua