"Nel Cuore della Chiesa"

N. 2/2011

 Editoriale

Al passo con la vita

 

RIVISTA N. 2/2011 (PDF)      

 

É probabile che, nel fondare il monastero riformato di san Giuseppe ad Avila, Teresa avesse in mente soltanto di realizzare, assieme ad un preciso comando del Signore, il suo ideale di una vita vissuta in maggiore intimità con il suo Dio.

Sembrava fosse stato proprio questo, del resto, ad avere messo le ali ai desideri di un piccolo gruppo di monache amiche, nel monastero dell’Incarnazione; e se il Signore aveva compiuto quelle promesse, ciò poteva essere sufficientemente appagante per non domandare di più. Che, infine, i risultati superassero le aspettative, c’era solo da aspettarselo.

Se, almeno inizialmente, Teresa poteva essere ingenuamente convinta che tutte le perplessità, l’ irritazione e la contestazione che la nuova fondazione stava suscitando, fossero da leggere come conferma che quell’opera veniva da Dio, che le forze oscure del male tramavano contro, e che questo per lei doveva rappresentare un tempo di prova, bastarono le notizie che le arrivavano dalla Francia e poi dal nuovo mondo perché quella storia che stava nascendo assumesse un respiro più ampio e profondo: «Verso quel tempo ebbi notizia dei danni e delle stragi che i luterani facevano in Francia e dell’ incremento che andava prendendo quella setta malaugurata. Ne provai una gran pena e quasi fossi o potessi qualche cosa, mi lamentai con il Signore supplicandolo di porre rimedio a tanto male. Mi pareva che pur di salvare un’anima sola delle molte che là si perdevano, avrei sacrificata mille volte la vita» (C 1,2) Teresa si veniva a trovare, ormai, esposta sul fronte in cui le azioni avevano ragioni che esorbitavano dai confini privati del proprio “giardino spirituale”, della sua personale santificazione, per assumere le dimensioni di una storia universale: quella della Chiesa. Il suo cuore dilatato dallo Spirito, faceva di lei un’ anima autenticamente apostolica.

Quando Teresa scriveva il suo “cammino”, il carisma di fondatrice e di maestra si coniugava con una chiara coscienza di una missione ecclesiale, una coscienza espressa dalle celebri parole pronunciate da Teresa sul letto di morte: «Sono figlia della Chiesa».

Questa evoluzione della sua vicenda dovrebbe sgomberare il terreno da molte incomprensioni circa le parole “spirituale”, “perfezione”, e dovrebbe sgomberare il terreno anche dal sospetto che il suo “cammino di perfezione” resti ultimamente sospeso al filo sottile di un esercizio raffinato per “anime belle”.

Quelle parole dicono altro: esse ci invitano a non avere paura, a ritrovare il coraggio delle vette, il gusto del generoso donarsi che permette di «comprendere come questo Signore merita di essere da noi trattato, quale vita merita che noi gli off riamo».

Esse esigono l’unità di pensiero – parola – vita, e ci fanno ricordare quel «duc in altum» «prendi il largo» (Lc 5,4) che con Giovanni Paolo II è divenuto una sorta di motto per la spiritualità del terzo millennio.

Collocare la vita nell’orizzonte alto dello spirito, “osare” a livello dell’ideale, è questo lo stile dei santi, di coloro che, come Teresa, come Francesco di Sales, sanno coraggiosamente indicare, in una cristianità in dissoluzione, a dei cristiani “in crisi”, il cammino della santità come cammino di una fede al passo con con la storia e con la vita.

 

di padre Renato Dall'Acqua