"Nel Cuore della Chiesa"

N. 1/2011

 Editoriale

La profezia del silenzio

 

RIVISTA N. 1/2011 (PDF)      

 

Era il 12 marzo 1622 quando, assieme a Isidoro Agricola, a Ignazio di Loyola, a Francesco Saverio e a Filippo Neri, Teresa di Gesù veniva canonizzata a Roma da papa Gregorio XV. Erano bastati 40 anni, dopo la sua morte, perché la Santa di Avila, superate le iniziali diffidenze di alcuni censori potesse essere presentata al popolo cristiano come sicuro riferimento nel cammino della santità. I suoi scritti circolavano ormai nella traduzione delle varie lingue europee e anche le sue monache e i suoi frati disseminavano l’Europa, il Vicino Oriente e il Nuovo Mondo di presenze, pensate, in molti casi, come veri avamposti della cristianità.

Anche per questo era nata la Riforma. Teresa aveva immaginato le sue comunità come dei «castelli»: fortificazione in un territorio, quello europeo, divenuto un grande campo di battaglia, di scontro religioso oltre che politico. Senza cadere nella logica della forza e degli eserciti, Teresa sapeva bene che era con le armi della preghiera e non con il braccio secolare che quella battaglia si sarebbe dovuta combattere.

Era un tempo, il suo, di fervore a volte polemico in cui però la dimensione religiosa segnava la vita di uomini e donne in profondità; un tempo nel quale, grazie alla recente invenzione della stampa, la letteratura religiosa circolava con una certa facilità anche tra i ceti sociali vissuti fino ad allora ai margini dei dibattiti culturali; un tempo, in cui la battaglia delle idee si combatteva anche sulla carta stampata non senza però essere, nel caso di Teresa, mai altro che la stessa vita vissuta.

Così anche il Cammino di Perfezione, scritto per le carmelitane scalze, è un opera in cui è l’esperienza a parlare, il buon senso della vita vissuta, con tutto ciò che di straordinario l’aveva arricchita, compresa la misura e l’equilibrio, che questa donna seppe mantenere in mezzo a un «mare sconvolto», a un «mondo in fiamme» e a tanta irruzione di grazia.

Non si può certo negare che quella di Teresa fu per l’Europa e la Chiesa di allora una stagione drammatica, le cui conseguenze e ricadute sono state e continuano ad essere, se pure in modo diverso da allora, sociali, civili e culturali. Ed è un tema che ha le sue conseguenze fino alla ben nota questione delle radici cristiane dell’Europa, della sua crisi di identità, di valori, crisi per la quale sono proprio i cristiani d’Europa a doversi sentirsi chiamati in causa.

E sentirsi chiamati in causa, senza chiudere gli occhi davanti alla realtà dei fatti e alla necessità della lotta, è il modo proprio di sentire di Teresa, che immagina le sue comunità con un fine apostolico preciso a partire dal quale ella fa appello, nei primi capitoli del Cammino di Perfezione, alla coscienza stessa delle sue compagne. Il richiamo al fine per il quale «il Signore ci ha riunite in questa casa» (C 3,1), a e a quel «grande desiderio» di essere «qualcosa» nella Chiesa (T. Alvarez) vale come presupposto stesso della questione circa l’orazione di cui la Madre si accinge a scrivere. Rispondere all’appello di Dio che chiama, significherà, per queste monache, assumersi quella particolare responsabilità della preghiera che le pone nel cuore stesso della Chiesa, con il compito di una particolare "profezia del silenzio", "segno di contraddizione" capace ancora di "scandalizzare" e di tenere deste le nostre coscienze di cristiani.

 

di padre Renato Dall'Acqua